Patto di non concorrenza , clausola di non compete e la Giurisprudenza più recente
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Patto di non concorrenza , clausola di non compete e la Giurisprudenza più recente
L’articolo affronta una vasta questione che ha assunto nel tempo connotati sempre più complessi ed a cui si dedica sempre più la Giurisprudenza anche del Supremo Collegio, che verrà esaminata nelle sue recenti pronunce.
Innanzitutto chiariamo, se mai ce ne fosse bisogno, che il patto di non concorrenza deve sempre essere retribuito con un corrispettivo congruo per il lavoratore che lo sottoscrive, in relazione al sacrificio richiesto a quest’ultimo. La somma dovuta lavoratore può essere stabilita come quota fissa o come percentuale della retribuzione.
L’importo corrisposto al lavoratore deve essere determinato o almeno determinabile, non potendo dipendere la determinazione del corrispettivo dalla sola durata del rapporto (elemento sottratto alla disponibilità del lavoratore). Su questo ultimo punto una giurisprudenza costante della Cassazione ( ad esempio fra le ultime ordinanza n 5540/2021) ci ricorda che la determinazione del compenso o la sua determinabilità fondata su parametri oggettivi è essenziale viceversa il patto è nullo.
Sempre Corte di Cassazione ordinanza n. 10679 del 2024 ci ricorda che la clausola di non compete va rideterminata in caso di mutamento delle mansioni.
La misura e le modalità di corresponsione del corrispettivo sono rimessi all’autonomia delle parti contraenti. Tuttavia, il corrispettivo non può essere meramente simbolico o sproporzionato in rapporto al sacrificio imposto al lavoratore, alla sua retribuzione, al livello professionale raggiunto e ai minori guadagni che questo potrà realizzare.
Il compenso per il dipendente dovrà essere quindi congruamente determinato in relazione ai seguenti elementi:
- la posizione gerarchica del lavoratore in azienda;
- la retribuzione del lavoratore;
- l’ampiezza del territorio al quale si applica il patto;
- le attività/imprese concorrenti individuate nel patto;
- la durata del patto.



fermo restando che, qualora l’ambito del patto di non concorrenza sia vasto, la percentuale dovrà essere maggiore.
Indicativamente, possono essere ritenuti congrui, ad esempio, i seguenti corrispettivi:
- per un patto di non concorrenza di durata biennale con un vincolo territoriale estesi a tutta l’Europa e divieto di svolgimento di ogni attività in concorrenza con il gruppo societario di appartenenza del datore di lavoro: circa il 40% dell’ultima retribuzione lorda annua;
- per un patto di non concorrenza di durata biennale con un vincolo territoriale esteso a tutta l’Italia e divieto di svolgimento di ogni attività in concorrenza con il gruppo societario di appartenenza del datore di lavoro: circa il 30% dell’ultima retribuzione lorda annua;
- per un patto di non concorrenza di durata annuale con un vincolo territoriale esteso a tutta l’Italia e divieto di svolgimento di attività solo in specifici settori: circa 15-20% dell’ultima retribuzione lorda annua.
Se il corrispettivo stabilito per il lavoratore non è congruo rispetto al sacrificio a questi imposto, il patto di non concorrenza si considera nullo.
Secondo la giurisprudenza, è lecito un patto di non concorrenza nel quale si prevede un importo in favore del lavoratore variabile a seconda della durata del rapporto di lavoro.
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Il corrispettivo per il lavoratore: modalità di erogazione
Il corrispettivo in favore del lavoratore può essere erogato una tantum al momento della cessazione del rapporto di lavoro, oppure in costanza del rapporto di lavoro, quale percentuale fissa – o a volte crescente, in funzione dello sviluppo professionale – della retribuzione.
Nel primo caso, il corrispettivo rimane assoggettato al medesimo regime fiscale di tassazione separata del trattamento di fine rapporto e sottratto agli obblighi contributivi. Se invece il corrispettivo viene percepito dal lavoratore prima della cessazione del rapporto di lavoro (sotto forma di percentuale sulla retribuzione), il corrispettivo ha natura retributiva, concorre a formare la base per il calcolo del trattamento di fine rapporto ed è sottoposto allo stesso trattamento fiscale e contributivo della retribuzione del lavoratore.
Questa seconda ipotesi pone alcune criticità. Infatti, il corrispettivo a fronte del patto di non concorrenza deve essere predeterminato nel suo preciso ammontare già al momento della stipulazione del patto. L’erogazione del corrispettivo in costanza del rapporto rende difficilmente determinabile ex ante la contropartita economica alle future – e certe – limitazioni all’attività di lavoro del prestatore.
Inoltre, il dipendente che abbia già percepito l’intera utilità economica prevista dal patto – avendone oltretutto sofferto un maggior carico fiscale – si troverà a doverne sopportare soltanto gli effetti sfavorevoli – in termini di maggiori difficoltà occupazionali e perdita di reddito – ed avrà dunque tutto l’interesse a contestare la validità del patto, da cui non trae più alcun utile, confidando sul recupero delle maggiori opportunità di impiego pregiudicate dal patto.
Qualora poi il corrispettivo percepito sia stato particolarmente esiguo, e dunque presumibilmente inadeguato a ristorare la perdita di opportunità professionali e reddituali, il lavoratore sarà più facilmente indotto a violare il patto, confidando sui limiti effetti di un’eventuale domanda di restituzione del corrispettivo che dovesse seguire all’accertamento in giudizio della nullità del patto.
Per tale motivo, parte della giurisprudenza prevalente ritiene che il patto di non concorrenza, nel quale sia previsto il pagamento di un importo fisso mensile durante la vigenza del rapporto di lavoro, sia invalido, in quanto questo meccanismo introduce una variabile aleatoria legata alla durata del rapporto di lavoro, mentre la congruità nel corrispettivo deve essere valutabile in astratto, a prescindere dalla durata del rapporto di lavoro. In altri termini, una simile pratica finisce di fatto per attribuire al corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore, anziché di compensarlo per il sacrificio derivante dalla stipulazione del patto.
Tuttavia, recentemente la Cassazione ha ritenuto valido un patto di non concorrenza, il quale preveda che il corrispettivo venga erogato nel corso del rapporto di lavoro (e non alla sua scadenza), commisurato ad una percentuale della retribuzione mensile, da erogarsi con la medesima periodicità di questa, purché sia determinato in modo non simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato. Tale principio apre dunque alla possibilità di una valutazione ex post della congruità del corrispettivo.
In ogni caso, per superare tale criticità, è possibile prevedere che il corrispettivo del patto di non concorrenza venga erogato in forma mista, ovvero con il versamento di una somma all’instaurazione del rapporto di lavoro, ma anche durante lo stesso, con previsione di un conguaglio al termine dello stesso. In altri termini, è possibile prevedere un congruo livello del corrispettivo per il patto, rapportato ai concreti vincoli imposti al lavoratore, e che, in caso di mancato raggiungimento dell’importo convenuto al termine del rapporto di lavoro, il datore di lavoro versi al lavoratore la differenza rispetto a quanto complessivamente convenuto. Ciò consente di prevedere un importo minimo garantito per il lavoratore a prescindere dalla durata del contratto, e di stabilire l’importo massimo che verrà erogato a quest’ultimo.
Avv.Prof. Claudia Cermelli
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